Fra i molteplici oneri nel contesto aziendale vi è come noto quello del Documento di Valutazione dei Rischi (DVR): esso non è un semplice adempimento formale per le società ma un vero e proprio strumento operativo essenziale per la sicurezza nei luoghi di lavoro. La Suprema Corte di Cassazione, nei primi mesi del 2025 è intervenuta più volte per ribadire che il DVR deve possedere le caratteristiche della specificità aziendale, deve essere costantemente aggiornato ed essere riferito a tutte le mansioni presenti all’interno della realtà imprenditoriale concreta.
Un Documento di valutazione dei rischi generico o non aggiornato può comportare responsabilità penale diretta sia per il datore di lavoro che per il preposto. La valutazione dei rischi deve essere concreta, contestualizzata e accompagnata da misure di prevenzione efficaci.
Ma chi è responsabile, il datore di lavoro o il preposto?
Con la Sentenza n. 22584 del 16 giugno 2025 la Suprema Corte di Cassazione, infatti, ha affermato che il preposto può essere considerato a tutti gli effetti “datore di lavoro” ai fini prevenzionistici per gli adempimenti per i quali dispone di mezzi e poteri per realizzarli.
Nel caso di specie, il Presidente del Consiglio di Amministrazione (datore di lavoro) della società veniva mandato assolto dal Tribunale dall’accusa di non aver effettuato correttamente la valutazione dei rischi professionali e la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi riguardanti le due unità locali nelle quali la società si divideva.
La Cassazione ha rilevato che la normativa D.Lgs. n. 81/2008 consente di distinguere un datore di lavoro in senso lavoristico da uno o più datori di lavoro (quando esistono più unità produttive) in senso prevenzionale.
Secondo il Tribunale, nel caso specifico, questi obblighi di prevenzione dei rischi, non ricadevano sul vertice societario ma su due distinti dirigenti preposti alla gestione delle due unità produttive in cui era articolata l’azienda. La Suprema Corte ha confermato tale interpretazione, chiarendo che l’individuazione del datore di lavoro in ambito prevenzionistico non coincide automaticamente con la figura del datore in senso civilistico.
L’art. 2, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n. 81/2008 statuisce che il datore di lavoro è anche colui che, nell’ambito di un’unità produttiva autonoma, esercita effettivamente poteri decisionali e di spesa, anche se formalmente non fa parte del Consiglio di amministrazione. L’elemento determinante, dunque, è la gestione concreta della sicurezza e non la posizione formale ricoperta in azienda.
La Cassazione sul punto ha ribadito il seguente principio di diritto “la responsabilità del soggetto preposto alla direzione dell’unità produttiva è condizionata alla congruità dei suoi poteri decisionali e di spesa rispetto alle concrete esigenze prevenzionali”. In pratica il preposto può essere considerato a tutti gli effetti datore di lavoro ai fini prevenzionistici solo entro i limiti di questi poteri: è responsabile solo se e nei limiti in cui dispone degli strumenti necessari per adempiere agli obblighi imposti dalla legge.
Secondo la Cassazione, dunque, il riconoscimento della figura del “datore di lavoro decentrato” è possibile e legittimo solo in presenza di autonomia effettiva della singola unità produttiva e della piena capacità decisionale e finanziaria del dirigente preposto.
Proprio in forza di tale autonomia, nel caso esaminato la valutazione dei rischi e la nomina del responsabile della sicurezza erano stati correttamente eseguiti dai responsabili delle due divisioni aziendali, escludendo ogni responsabilità penale in capo al Presidente del Consiglio di Amministrazione dell’azienda.
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Avv. Maria Cristina Bruni
Senior Partner
Avv. Andrea Febbraro (avvocato of counsel)
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